Base associativa: la composizione per gli Enti del Terzo Settore

Base associativa degli Enti del Terzo Settore: la composizione per il MLPS

Definizione autonoma della “propria compagine associativa”, con possibilità di includere sia persone fisiche che soggetti collettivi (o superindividuali): questo il principio espresso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali all’interno della nota n. 1082 del 5 febbraio relativamente alla base associativa degli Enti del Terzo Settore (che verranno), in riferimento alla capacità di autodeterminazione riconosciuta agli ETS dai principi costituzionali in materia di “formazioni sociali e di libertà associativa”, ribaditi dall’art. 1 del D. Lgs 117/2017.

Il chiarimento è arrivato in risposta a due quesiti posti sull’argomento e riguardanti, nello specifico, la possibile composizione degli Enti del Terzo Settore e, più nel dettaglio, l’opportunità per le imprese di farne parte ed eventualmente detenerne il controllo.

Base associativa degli Enti del Terzo Settore: i soci

Posto che la libertà di associazione stabilita dall’articolo 18 della Costituzione rappresenta un elemento indiscutibile anche per la Riforma, tale possibilità si manifesta sia nella facoltà di costituzione di un Ente associativo che nella autonoma definizione della propria struttura, purché ritenuta idonea al “perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale”, e sempre fermo il divieto di distribuzione degli utili.

La definizione della base associativa degli Enti del Terzo Settore costituisce parte integrante di tale autonomia, legittimando la facoltà di ammissione a socio non soltanto per le persone fisiche, ma anche per quelle giuridiche, sempreché tale possibilità sia ammessa nello statuto sociale dell’Ente (che in ogni caso andrà adeguato entro il prossimo 30 giugno ai fini dell’iscrizione all’istituendo Registro Unico).

Affermato il principio generale, Ministero del Lavoro si preoccupa di “correggerne il tiro” in riferimento alle Associazioni di Promozione Sociale ed alle Organizzazioni di Volontariato, per le quali occorre fare riferimento a quanto espressamente previsto dal Codice del Terzo Settore.

Quali limiti per APS e ODV in merito alla loro base associativa?

Gli articoli 32 (comma 2) e 35 (comma 3) del D. Lgs. 117/2017, nell’ammettere all’interno di APS e ODV anche organizzazioni di carattere collettivo, ne circoscrivono l’ammissione a categorie determinate ed entro percentuali ben precise, posto che possono farne parte “altri Enti del Terzo Settore o senza scopo di lucro” a patto che questi non siano superiori al 50% delle APS o ODV aderenti.

Gli associati persone fisiche, invece, devono essere almeno sette, salvaguardando nonché confermando, in tal modo, il principio di gestione democratica.

Attenzione: in virtù della loro capacità di definizione, gli enti in questione possono decidere di includere enti collettivi al di là delle precisazioni indicate, rinunciando, però, alla propria identità e con tutte le relative conseguenze, incluso l’obbligo di richiedere l’iscrizione ad altra sezione del RUNTS.

La questione delle imprese negli Enti non profit

La disciplina di cui al D. Lgs. 112/2017 in materia di impresa sociale stabilisce, all’art. 4, che le organizzazioni di carattere commerciale non possano esercitare, al loro interno, “attività di direzione e coordinamento” né, tanto meno, detenerne il controllo. Nessun riferimento agli enti for profit, invece, è operato dal Codice del Terzo Settore, che nell’indicare i soggetti non qualificabili come ETS e privi di poteri di direzione e coordinamento sugli stessi, accenna ad “amministrazioni pubbliche, formazioni e associazioni politiche, sindacati, associazioni professionali e di rappresentanza di categorie economiche, associazioni di datori di lavoro nonché enti sottoposti a direzione e coordinamento o controllati dai suddetti enti”. Il dubbio che la preclusione prevista per le imprese sociali possa estendersi agli altri ETS trova risposta nella stessa nota ministeriale, attraverso il richiamo al principio di autonomia, di cui sopra, ed al rapporto di specificità che lega la disciplina in materia di impresa sociale rispetto al Codice del Terzo Settore, di carattere generale. Fatte tutte le premesse, si deve desumere “che in assenza di previsioni specifiche relative a particolari tipologie di enti, le imprese (ivi incluse quelle for profit) possano costituire o partecipare successivamente alla base associativa degli ETS nonché detenerne il controllo, sia in forma singola che in forma congiunta tra due o più di esse”. Anche in queste ipotesi, restano fermi i requisiti formali e sostanziali previsti a tutela dell’identità degli Enti del Terzo Settore:
assenza dello scopo di lucro;
– perseguimento del proprio oggetto sociale secondo il fine di carattere civico, solidaristico e di utilità sociale individuato;
– lo svolgimento “di una più attività di interesse generale” di cui all’art. 5 del D. Lgs. 117/2017 o di attività diverse ex art. 6, secondo quanto delineato in statuto.

I possibili controlli sulla base associativa degli Enti del Terzo Settore

Il regime di favore riconosciuto dalla Riforma trova la sua giustificazione in quelle stesse finalità ideali che ne costituiscono il limite di applicabilità.

Gli enti non commerciali, nell’operare per il raggiungimento dell’utilità sociale, devono attenersi, evidentemente, a tutti quei requisiti necessari a tutelare l’alto valore del settore, ivi compresi i limiti dettati per APS, ODV e imprese sociali nell’organizzazione del proprio assetto.

La concreta osservanza dei vincoli e dei limiti dettati dal Codice del Terzo settore costituirà oggetto di controllo da parte delle amministrazioni competenti, al fine di evitare un uso strumentale ed elusivo delle disposizioni di vantaggio previste nel Codice medesimo“.

Questo approfondimento è stato realizzato in collaborazione con la Dott.ssa Mimma Sgrò.

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