Quando un’attività sportiva è dilettantistica? E quando professionistica? Ora lo spiegano (anche) i Giudici

Premesso che non è in contestazione che la società opponente sia una società sportiva dilettantistica, la disciplina del lavoro sportivo dilettantistico è data dalla l. 91/1981”. “Fondamentale … per l’applicazione della disciplina di cui alla l. 91/1981 … è la qualificazione di sportivo professionista … a monte del quale sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico – sportivi ed i preparatori atletici, che esercitano l’attività sportiva a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione delle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, con l’osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica”. Così inizia la sentenza 380/2014 del Tribunale di Venezia con la quale il Giudicante ha accolto il ricorso di un’Associazione Sportiva Dilettantistica accertata dall’INPS la quale aveva fondato il proprio impianto accusatorio assimilando tutti gli atleti/allenatori della A.S.D. accertata a “professionisti di fatto”, con conseguente pretesa contributiva pari a 427.970,00 euro.

Prosegue quindi la sentenza precisando che “a norma dell’art. 3 la prestazione a titolo oneroso dell’”atleta” costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme contenute nella legge medesima mentre costituisce oggetto di contratto di lavoro autonomo solo quando ricorra almeno uno dei seguenti requisiti: a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo; b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento; c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno. Conseguentemente si è ritenuto che la legge 23 marzo 1981 n. 91 detti regole per la qualificazione del rapporto di lavoro dell’atleta professionista, stabilendo specificamente all’art. 3 i presupposti della fattispecie in cui la prestazione pattuita a titolo oneroso costituisce oggetto di contratto di lavoro subordinato mentre per le altre figure di lavoratori sportivi contemplate nell’art. 2 (allenatori, direttori tecnico sportivi e preparatori atletici) la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione deve essere accertata di volta in volta nel caso concreto, in applicazione dei criteri forniti dal diritto comune del lavoro (vd. ex. plurimis Cass. n. 11540  del 28/12/1996). Non vi è dubbio tuttavia, per quanto riguarda, dunque, gli sportivi indicati tassativamente nell’art. 2, e quindi, per quanto qui interessa, gli atleti e gli allenatori, che la qualifica quale sportivo professionista dipendente dalle seguenti concorrenti condizioni: a) esercizio di attività sportiva a titolo oneroso, b) con carattere di continuità, c) nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione (professionistica) dalle federazioni sportive nazionali, secondo le norme emanate dalle federazioni stesse, in osservanza delle direttive stabilite dal CONI per la distinzione dell’attività dilettantistica da quella professionistica.
Non basta, dunque, che vi sia una prestazione sportiva con i caratteri della onerosità e della continuità ma deve, altresì, trattarsi di prestazione dell’attività svolta nei settori qualificati come professionisti dalle Federazioni sulla base delle direttive impartite dall’Ente pubblico CONI (vd. anche art. 5 comma 2, lettera d) D. Lvo 242/99 – Riordino del CONI – “Il consiglio nazionale svolge i seguenti compiti: … d) stabilisce, in armonia con l’ordinamento sportivo internazionale e nell’ambito di ciascuna federazione sportiva nazionale o della disciplina sportiva associata, criteri per la distinzione dell’attività sportiva dilettantistica da quella professionistica”)
”.
In altre parole “La disciplina del lavoro sportivo professionistico fa … riferimento oltre ad alcuni criteri fattuali (onerosità e continuità) al criterio formale costituito dallo svolgimento di un’attività sportiva che sia qualificata come professionistica dalla federazione nazionale di appartenenza in base alle direttive impartite dal CONI sulla distinzione tra attività professionistica e attività dilettantistica. La legge ha, dunque, rimesso espressamente al CONI e alle federazioni nazionali definire la natura professionistica o meno di una certa attività sportiva e ciò evidentemente riconoscendo a detti Enti la competenza specifica a meglio qualificare le attività e gli sportivi”.

Il Giudice ha dunque ritenuto fondata l’opposizione in ragione del fatto che “si sarebbe … dovuto dedurre, allegare e provare da parte dell’ENPALS il carattere proprio della subordinazione ovvero la soggezione al potere organizzativo, direttivo e disciplinare, il quale francamente non appare rinvenibile nel caso in esame, tenuto conto dell’ambito di autonomia propria di ciascun atleta – pur se nel gioco di squadra – e allenatore e non certo rinvenibile nei generici impegni elencati nei contratti per prestazioni sportive dilettantistiche”.

Ultimo profilo trattato in sentenza: “Deve … condividersi che la fascia di euro 7.500 ai sensi dell’art. 69 TUIR sia una fascia esente e non un limite oltre il quale il rapporto deve considerarsi professionistico, poiché tale qualificazione dipende dallo svolgimento dell’attività sportiva con carattere di onerosità e continuità in un settore qualificato come professionista dalla porpria Federazione …”.

Ferme tutte le considerazioni a più riprese ribadite sul nostro blog relative in particolare ai limiti di applicazione dei compensi ex lege 342/2000 ai collaboratori sportivi (Vi segnaliamo in particolare questo
articolo
) riteniamo assolutamente condivisibile l’iter logico seguito dal Giudicante per motivare il proprio pronunciamento.

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